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I dolci del Carnevale

Sulle tracce della Serenissima nel Vicentino

“La stria tutte le feste porta via” recita un proverbio dialettale per ricordare che dopo l’Epifania non ci sono più festività. In realtà chiuso il ciclo delle feste legate al Natale si apre quello del Carnevale, che dura fino al martedì precedente l’avvio della Quaresima, e che ha il suo massimo nella settimana che precede le Ceneri, detta settimana grassa.
Mascheramenti e scherzi imperano in questo periodo, ma anche dolci tipici, fritti un tempo nello strutto di maiale che abbondava in questo periodo, grasso per l’appunto.
Si tratta di fritole, grustoli, bussolaiti, parpagnacchi, di cui ogni famiglia ha la sua ricetta, personalizzata sia per rendere più buoni i dolci, sia per esigenze di disponibilità in dispensa.

Le ricette della tradizione

FRÌTOLE

Le frìtole (frittelle), formate da un impasto, di solito dolcificato, di ingredienti non sempre costanti, sono un dolce diffuso ovunque. Ma ogni regione, spesso addirittura ogni località, segue una sua ricetta, adoperando particolari ingredienti, anche se l’ impasto di base resta per lo più lo stesso. Pure da noi c’ erano frittelle formate da ingredienti diversi. Diamo qui la ricetta maggiormente seguita per preparare le frìtole comuni. Si prendono delle uova (in genere due ogni tre persone) e si lavorano in una terrina con farina bianca (a volte, oltre che farina bianca, si mette pane inzuppato nel latte, oppure un impasto molto denso di riso cotto a lungo nel latte, oppure un po’ di farina gialla), due cucchiai di zucchero per uovo, e un pizzico di sale (a volontà si può allungare con latte e aggiungere uva passita e vermout) in modo da ottenere un impasto molto molle. Si scioglie in una farsóra (padella; talora si usava anche la raminèla) del colà in gran quantità (ce ne deve essere sul fondo almeno un centimetro; al posto del colà si può mettere dell’ olio). Quando il colà è bollente, vi si fanno cadere dei bocconcini di pasta prendendoli dalla terrina con un cucchiaio e aiutandosi con un dito a staccarli da esso. Si cuoce a fuoco molto vivace (aggiungendo colà a mano a mano che esso si consuma). Quando le frittelle, della grossezza media di una bella noce, sono cotte (assumendo un colore bruniccio) si levano con una schiumarola, si mettono in una piana (terrina) e, quando sono fredde, si spolverano con zucchero a velo o con zucchero normale.

GRÙSTULI

I grùstuli (crostoli) sono, con le frìtole, il dolce tipico del Carnevale che non è mai mancato nelle case a rallegrare i giorni più salienti di esso (giovedì e martedì grasso), grazie anche all’ abbondanza di strutto ricavato dal maiale appena ucciso.
Per preparare i grùstuli si prendono delle uova (due ogni tre persone), si rompono e si sbattono nella terrina, si aggiungono un po’ di burro sciolto, tre cucchiai di zucchero per ogni uovo, farina bianca, un po graspa e di buccia di limone grattugiata, e si fa la pasta, che deve risultare consistente, ma non troppo. Si spiana poi, e si assottiglia, con la mèscola da tajadèle (matterello) la sfoglia, come per le tagliatelle, avendo l’ avvertenza che non venga troppo sottile.
Con l’ apposito attrezzo (una rotella dentata) o, in mancanza di esso, con un coltello, si ritagliano riquadri romboidali da 5-10 centimetri di lato, che si mettono a friggere nella farsóra (padella) in molto colà od olio bollenti.
Quando la prima mano di grùstuli comincia a imbrunire è segno che sono cotti; allora si leva, se ne mette una seconda e così via. I grùstuli cotti, posti in una terrina, vengono spolverati con zucchero a velo.

PARPAGNACHI

Erano, e sono, un dolce tipico già della zona di Thiene, e ora comune, che si preparava sopratutto in occasioni quali la Pasqua e il Carnevale.
Per preparare dieci uova di parpagnachi (ne risultano cinque – sei chilogrammi di dolci) sono necessari, oltre le uova, un chilo di zucchero, mezzo chilo di burro, un quarto di litro di latte, quattro chili di farina, un po’ di olio, di grappa o altro liquore, succo di limone, sale, lievito per dolci e carbonato di ammonio (comperato in farmacia) nelle dosi richieste da dieci uova.
Si sbatte lo zucchero con le uova, vi si aggiungono il burro e il carbonato di ammonio sciolti separatamente nel latte, altro latte, il sale sciolto in poca acqua, e tutti gli altri ingredienti, compreso il lievito.
Si fa un pastone e lo si lavora fin che non è ben amalgamato. Lo si divide allora in pezzi e se ne fanno dei bastoncini della grossezza di un dito, coi quali si formano delle trecce lunghe una quindicina di centimetri.
Si spalmano le forme ottenute con albume d’ uovo e si spolverano con un po’ di zucchero lasciando quindi lievitare per 30 minuti e cuocendole nel forno non troppo caldo.

C’è anche un rituale del menù che accompagna l’ultima settimana di Carnevale, la cosiddetta settimana grassa, durante la quale il venerdì si mangiava gnocchi di patate e il sabato bigoli, una pasta all’uovo realizzata con la trafila del torchio.