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Le botteghe di bottai

Sulle tracce della Serenissima nel Vicentino

Tornati all’interno della corte, in quello che rimane dell’antica struttura delle stalle possiamo visitare il Museo Etnografico sulla Lavorazione del legno, dedicato al legno e alle attività artigiane diffuse in paese, che vedevano la prevalenza di botteghe artigiane dedite alla fabbricazione di carri e botti, oltre a una varietà di altri lavori legati al legno, a conferma del fatto che il legno è stato a lungo la materia prima pi importante per la quotidianità dell’uomo.

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Non solo il falegname, ma anche il calzolaio, allora chiamato socolaro, che ricavava le suole dal legno, così come lo scandolaro che produceva le scandole, con cui venivano ricoperti i tetti, così come chi produceva cesti e cestini utilizzando i polloni, ossia i rami più duttili di alcune specifiche piante, o le scatole prodotte prevalentemente sull’Altopiano dei Sette Comuni utilizzando legno di abete.

 

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Il Maccà, studioso di storia locale, nel 1814 scrive:
“Nel monte della villa di Leguzano sotto Schio vi sono circa duagento campi di boscaglia , che produce legna da fuoco , e anche si adopera per far cerchi di botti da vino, e questa boscaglia chiamasi volgarmente la Guizza, così mi fu decco da persone di detta villa.”

 

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Documenti dell’Archivio comunale ci dicono che nel ‘600 si registravano ben 26 bottai. Il loro lavoro consisteva nel costruire o semplicemente rinnovare le botti in vista della vendemmia. Sebbene il lavoro possa essere inteso come stagionale, la loro registrazione e il loro numero in una popolazione di circa 900 abitanti, ci lascia ipotizzare che ci fosse una certa specializzazione dei lavori, di impronta proto-industriale.
Una prova evidente di quanto fosse fiorente lo scambio di merci e prodotti, la possiamo desumere anche dal fatto che vi erano delle codifiche delle misure, che solo nel corso dell’800 si adeguano al sistema metrico decimale: prima si trattava di piedi, braccia, grani e così via.

Per quanto oggi pochi di noi siano in grado di dire quanto fosse un braccio da panno, che tra l’altro era diverso da un braccio da seta, ci risulta facile immaginare come allora potesse essere un vantaggio avere il “braccino corto”, espressione che oggi indica avarizia, ma che probabilmente fa riferimento a uno strumento di misura modificato per imbrogliare l’acquirente. L’importanza quindi di avere dei riferimenti precisi, a cui poter ricorrere in caso di disputa, ha fatto sì che le misure fossero esposte in luoghi pubblici così da poter risolvere le contestazioni alla luce del sole.

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A Vicenza il Campion de misura, com’era chiamata la stele che riporta i riferimenti per le misure di lunghezza, si trova ancora nell’atrio della Chiesa di San Vincenzo che si affaccia sulla piazza dei Signori. Fu realizzato in marmo rosso Asiago e riporta le misure vicentine in vigore nel Cinquecento poi pubblicate dall’Abate de Rossi nell’appendice del suo “Regole di aritmetica elementare” nel 1793.

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