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In origine erano ville di campagna

Sulle tracce della Serenissima nel Vicentino

“I moderni Scledensi, che da lungo tempo hanno rinunciato a segnare i confini della patria là dove termina l’ombra del campanile, potranno abbozzare un sorriso di compassione per quei loro padri che nella seduta comunale del 19 novembre 1589 pretesero di manomettere perfino lo Statuto di Vicenza per cambiare il troppo umiliante «homines villae Scledi» in «homines terrae Scledi»” (Mantese, 1955, p. 423). Questa richiesta nasce dalla volontà di far rispettare quanto già decretato dalla Repubblica di Venezia a metà ‘500, quando aveva concesso al comune di Schio il privilegio di essere terra e non villa, mettendo così in evidenza che gli abitanti non erano contadini, ma praticavano attività diverse, commercio o artigianato.
Da tutto ciò possiamo cogliere un indice dell’operosità di questi luoghi caratterizzati da una vivacità imprenditoriale, già presente e diffusa prima che il Tron arrivasse. Prova ne sono le innumerevoli rogge attorno alle quali furono costruiti mulini, magli, folli, a cui si dedicavano gli abitanti probabilmente nei periodi in cui il lavoro dei campi prevedeva una sosta.

La specificità di questo contesto può essere ricondotta a un tessuto di competenze artigiane diffuse, necessariamente votate agli scambi, che traggono origine probabilmente proprio da una tradizione di complementarietà e armonizzazione con i ritmi di lavoro delle campagne, che il Palladio consacrò con le sue ville come modello dello sviluppo dell’entroterra veneziano.

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Nel centro di San Vito di Leguzzano, lungo la strada principale, antica via di transito, troviamo tracce di una villa rurale, di proprietà di una nobile famiglia vicentina, quella dei Priorato, che, come numerose altre famiglie nobili di Vicenza, aveva i suoi possedimenti agricoli nell’alto vicentino, cosa che permetteva loro di avere dei vantaggi sul pagamento di dazi e altre gabelle.
Ora, entrando nella Corte Priorato Gandin, in cui ha sede il Museo del Legno, è ancora riconoscibile l’assetto della struttura: una villa rustica di cui si conservano l’impianto delle stalle e delle abitazioni della servitù, mentre la casa padronale, abbandonata a fine ‘700 e deperita, è stata demolita negli anni ‘70 del Novecento. Il Mantese descrive l’abitazione, “ornata di una bellissima bifora sulla parete che guardava la strada e, all’interno, da resti di affreschi a soggetto mitologico, un po’ dappertutto”.
Proprio di fronte il portone di accesso alla corte Priorato Gandin, dal nome delle due famiglie che ne sono state proprietarie, si trova la chiesetta di Sotto di San Vito di Leguzzano, o chiesa della Immacolata Concezione, che conserva un affresco con un’immagine alquanto rara, purtroppo in cattivo stato di conservazione, per la quale vi proponiamo una lettura guidata.

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A metà della parete di destra, possiamo riconoscere la composizione con al centro il Cristo e alle sue spalle una figura femminile con aureola, forse la Madonna o pi probabilmente Santa Domenica. Ma ciò su cui è interessante portare la nostra attenzione sono i disegni che incorniciano le due figure. Si tratta di una serie di oggetti che possiamo riconoscere abbastanza facilmente come attrezzi da lavoro: martello e incudine per il fabbro, una cazzuola e la spatola per il muratore e così via. Il soggetto dell’affresco è stato ricondotto al tema del “Cristo della Domenica”, riconoscendo nella figura femminile la personificazione della Domenica, da cui il titolo recentemente attribuito di “Santa Domenica e i mestieri vietati”.
Le raffigurazioni di questo tipo sono oggi piuttosto rare e si pensa fossero maggiormente diffuse prima del Concilio di Trento, quando le immagini venivano usate anche per raccontare i precetti, in questo caso quello relativo all’osservanza del riposo festivo. Abbiamo davanti l’immagine di Cristo “trafitto” dagli strumenti di lavoro, che soffre per quanto gli uomini gli causano, quando non rispettano il riposo nella giornata del Signore, la domenica. Oggi possiamo supporre che, se il precetto fosse stato osservato, probabilmente non serviva dedicare una parte della parete a questo tema e inoltre, osservando ciò che è rappresentato, possiamo ricostruire almeno in parte quali mestieri o pratiche non consentite fossero diffuse all’epoca dell’affresco, visto che tra gli attrezzi da lavoro è presente anche una coppia di dadi.

4 maggio 2015 (5)

La chiesetta fu edificata nel Trecento dal Comune di San Vito , che aveva la propria sede nel piazzale accanto, al cui interno vi era anche l’ospitale con due letti, per i viandanti.